Gli antidepressivi cercano di aumentare, nel cervello, la quantità di una molecola ‘amica,’ conosciuta come serotonina. Si ritiene che possa aiutarci a trovare la felicità quando è nascosta da valanghe di cattiveria, ma non è mai stato provato. Questi farmaci tentano di aumentare il livello di serotonina impedendone, in maniera “selettiva” , la ricaptazione nelle cellule cerebrali. L’acronimo con cui sono chiamati questi farmaci – SSRI – significa proprio questo: Selective Serotonin Reuptake Inhibitor (inibitore selettivo della ricaptazione di serotonina). E’ un nome altisonante, ma un’idea stupida: niente, nel corpo, è selettivo.Mentre tentano d’inibire la ricaptazione di serotonina, gli antidepressivi possono anche impedire il loro rilascio, e anche quello di un altro composto importante per il cervello noto come dopamina. Le aree del cervello deputate al rilascio e alla ricaptazione di questi neurotrasmettitori sono maledettamente simili (dopotutto lavorano sulla stessa molecola): un farmaco antidepressivo non è abbastanza intelligente da capire su quale dei due deve lavorare. E quindi fa ciò che farebbe un qualsiasi farmaco stupido: li blocca entrambi. Questo è il motivo per cui chi prende questi farmaci si ritrova con quello sguardo fisso e vitreo: vittime dell’incantesimo psichiatrico, sono usciti di testa.Col tempo possono insorgere tristezza profonda, rabbia e aggressività. Rimuovendo serotonina e dopamina dal cervello, chi fa uso prolungato di antidepressivi non riesce a provare né trovare felicità. Piuttosto, viene sommerso da una valanga di cattiveria.
Il loro consumo è in crescita e, in base ai dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), è aumentato del 4,5% rispetto al 2004, soprattutto in conseguenza della crisi economica che ha scardinato la vita di molti italiani. Nel 2020, ha avvertito l’AIFA, “la depressione, dopo le malattie cardiovascolari, sarà la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita attiva e in buona salute e curarla sarà indispensabile”. Nella speranza di fugare i pregiudizi che spesso inducono a non assumere o a sospendere senza criterio i farmaci con conseguenze a volte gravi per la salute, vorrei dare risposte scientifiche alle domande che i pazienti più frequentemente mi pongono durante le terapie psicofarmacologiche.