Tutta la carne, incluse le rosse e le lavorate, rappresenta un’importante fonte di proteine e si deve ricordare che le proteine animali sono costituite dagli amminoacidi, le stesse molecole delle proteine vegetali. La pericolosità delle carni rosse e lavorate per il rischio di cancro dipende dalle quantità e dal modo con cui alcune componenti di esse, interagiscono con il nostro organismo: la lavorazione delle carni per la loro conservazione e le modalità di cottura modificano le molecole o ne generano alcune nuove che possono aumentare il rischio di sviluppare un tumore.
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I cibi di origine animale contengono, oltre alle proteine, molte altre sostanze tra cui i grassi saturi e il ferro nel gruppo eme e, se consumate in dosi eccessive, possono provocare un aumento di colesterolo, dei livelli di insulina nel sangue, infiammando il tratto intestinale e aumentando il rischio di certe patologie, tra cui il tumore al colon-retto.
Un consumo modesto di carni rosse non aumenta il rischio di cancro al colon-retto in individui a basso rischio ma coloro che sono a rischio elevato (per familiarità o presenza di altre patologie) dovrebbero discutere della loro alimentazione insieme ad un medico per valutare il giusto apporto di carne rossa o lavorata.
Tuttavia, tutti gli epidemiologi, concordano sul fatto che gli individui che seguono diete ricche di proteine animali sono esposti ad un maggiore rischio di sviluppare malattie quali il diabete, l’infarto, l’obesità e i problemi cardiovascolari. Nel 2015 un’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità che valuta e classifica le prove di cancerogenicità delle sostanze, ha definito la carne rossa come probabilmente cancerogena e quella lavorata (ad esempio insaccati e salumi) come sicuramente cancerogena.
Alla luce di quanto scoperto, quanta carne rossa si può mangiare a settimana?
Diverse istituzioni nazionali e internazionali hanno raccomandato un limite per il consumo di carne allo scopo di mantenere una buona salute, la quantità consentita è di meno di 500 grammi a settimana facendo sì che la frazione che deriva dalla carne processata sia la più bassa possibile.